Una modifica post-traduzionale fa sperare per la
malattia di Huntington
DIANE RICHMOND & GIOVANNI ROSSI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 25 novembre 2017.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La malattia coreica descritta per la prima volta come disturbo ipercinetico ereditario dal
medico di Pomeroy (Ohio) George Huntington in una
famiglia di Long Island, è una grave patologia neurodegenerativa ad andamento
progressivo da espansione di triplette nucleotidiche ripetute (CAG), che
attualmente, solo nell’America Settentrionale, è diagnosticata in oltre 30.000
persone[1].
L’importanza della ricerca sulle basi patologiche di questa malattia è notevole
e va anche oltre le malattie da ripetizione di triplette, in quanto alcuni
meccanismi molecolari del danno possono essere comuni ad altre malattie
neurodegenerative.
Cristina Cariulo e numerosi
colleghi coordinati da Andrea Caricasole hanno identificato una modificazione post-traduzione
dell’huntingtina, consistente nella fosforilazione del residuo T3 nella regione
N17 della proteina, in grado di indurre l’inversione delle alterazioni
conformazionali dell’huntingtina responsabili della malattia di Huntington, e
di inibire le sue proprietà di aggregazione in vitro. Usando il primo immunoassay
ultrasensibile per una modificazione post-traduzionale
della proteina huntingtina, i ricercatori hanno dimostrato che i livelli di pT3
sono ridotti nell’huntingtina mutante in modelli preclinici così come in
campioni clinicamente rilevanti, ottenuti da pazienti affetti dalla malattia di
Huntington. Questi risultati sono rilevanti per la conoscenza della biologia di
questa malattia, accrescono la comprensione della patogenesi e suggeriscono
nuove possibilità nell’ambito della diagnosi e della terapia.
(Cariulo C., et al., Phosphorylation
of huntingtin at residue T3 is decreased in Huntington’s disease and modulates
mutant huntingtin protein conformation. Proceedings
of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead
of print doi: 10.1073/pnas.1610787114, 2017).
La provenienza degli autori è
la seguente: Dipartimento di Neuroscienze, IRBM Science Park, IRBM Promidis, Pomezia, Roma (Italia); Laboratorio di Biologia
Chimica e Molecolare della Neurodegenerazione, “Brain Mind Institute”,
Scuola di Scienze della Vita, Scuola Politecnica Federale di Losanna
(Svizzera); Dipartimento di Biomedicina, Facoltà di Medicina, Istituto di
Neuroscienze, Università di Barcellona (Spagna); Department
of Developmental and Cell Biology,
University of California, Irvine, CA (USA);
Laboratorio di Biologia delle Cellule Staminali e Farmacologia delle Malattie
Neurodegenerative, Dipartimento di Bioscienze, Università di Milano (Italia); Istituto
Nazionale di Genetica Molecolare (INGM) Romeo ed Enrica Invernizzi, Milano
(Italia); “Huntigton and Rare Diseases
Unit”, Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) Casa
Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo (Italia).
[Lo studio è stato presentato da Solomon H. Snyder,
Johns Hopkins University School of Medicine,
Baltimore].
Le malattie causate dall’eccessiva
espansione in un gene della ripetizione della tripletta nucleotidica CAG
specificante la glutammina sono nove: la malattia di Huntington, l’atrofia
muscolare spinale e bulbare (SBMA), l’atrofia dento-rubrale
che interessa anche il pallido e il nucleo subtalamico o corpo di Luys (DRPLA) e sei forme di atassia spino-cerebellare
(SCA1, 2, 3, 6, 7 e 17).
La malattia di Huntington (o
corea di Huntington), descritta come una sindrome ipercinetica ereditaria
caratterizzata da movimenti aritmici involontari che ricordano la danza (corea)
è una patologia neurodegenerativa ad andamento progressivo che interessa
prevalentemente i neuroni dello striato, dove causa lesioni molto tempo prima
dell’esordio clinico, e successivamente si estende al talamo, al tronco encefalico
e alla corteccia, dove nel corso degli anni determina un’atrofia che, insieme
con quella sottocorticale, configura una riduzione volumetrica dell’encefalo
fra le più gravi osservabili allo studio autoptico. L’evoluzione neurologica
può essere così sintetizzata: “Inizialmente si manifesta con
fenomeni focali, ma progressivamente si estende ad un numero sempre maggiore di
distretti corporei, fino alla sua completa espressione che si verifica entro i
10 anni dai primi sintomi. Da questa fase in poi, si inverte la natura delle
manifestazioni con la comparsa di bradicinesia e rigidità che ricordano la
sintomatologia parkinsoniana. Gli aspetti clinici di interesse psichiatrico,
che vanno da sindromi depressive a disturbi del comportamento, in genere si accompagnano
a difetti cognitivo-strumentali o propriamente intellettivi, in una fase in cui
il danno degenerativo non si è ancora sviluppato”[2].
Come è noto, si tratta di una
malattia genetica trasmessa con modalità autosomica
dominante e originata da una mutazione di un gene altamente conservato,
sito sul braccio corto del cromosoma 4 (4q16) e codificante l’huntingtina (htt), una proteina nucleare e citosolica
associata ai microtubuli e alle vescicole sinaptiche, ma espressa anche in
tessuti non neuronici. Sebbene ancora non sia stata definita con certezza una
funzione per l’htt, molte evidenze suggeriscono ruoli
nello sviluppo, nel trasporto assonico e in processi che controbilanciano
l’apoptosi. L’alterazione genica dell’htt consiste
nell’espansione di triplette CAG, con la conseguenza di una sequenza di poliglutammina (poliQ) nel prodotto genico[3]. La lunghezza del tratto poliQ è rilevante: l’età di manifestazione della malattia è inversamente proporzionale alla
lunghezza del tratto poliQ, che tende a crescere ad ogni generazione, accompagnandosi ad un inizio clinico sempre più
precoce, secondo un noto fenomeno detto “anticipazione”.
In generale, dopo la sua
sintesi ribosomiale, la proteina assume una conformazione tridimensionale che
le consente di portare i suoi gruppi funzionali in stretta vicinanza e di
formare appropriate interazioni proteina-proteina. Quando il tratto poliQ eccede una certa lunghezza, compromette i processi
che consentono il corretto ripiegamento della struttura terziaria che
conferisce la conformazione spaziale fisiologica, dando luogo ad una forma
aberrante. In tale assetto (misfolded conformer) le catene polipeptidiche resistono alla
degradazione necessaria al turnover fisiologico, accumulandosi
nella cellula ed aggregandosi in forme visibili mediante microscopia ottica. In
effetti, l’huntingtina mutata, come le altre proteine con lunghi tratti poli-Q,
esiste in monomeri, oligomeri e proto-fibrille. Un lungo iter sperimentale
ancora in corso ha cercato di stabilire quali specie proteiche mal-conformate
siano direttamente responsabili dell’innesco degli eventi che portano a morte i
neuroni; il maggior supporto di prove sperimentali è stato fornito per la
patogenicità delle forme solubili. Sui meccanismi molecolari della
neurodegenerazione si è accumulato un copioso ed interessante materiale
sperimentale per il quale si rimanda ai manuali e alle rassegne più recenti.
Qui si ricorda che, sebbene i meccanismi molecolari della tossicità innescata
dall’huntingtina con un’espansione di poliglutammina
siano ancora oggetto di intensi studi, è noto da anni che la riduzione della
proteina mutante nei neuroni affetti è in grado di abbattere i processi
responsabili del danno, perciò sono stati sperimentati oligonucleotidi
antisenso che catalizzano la degradazione dell’mRNA
della proteina patologica, con un certo successo in modelli sperimentali della
malattia[4].
Dopo queste nozioni
introduttive proposte per i lettori non specialisti, ritorniamo al lavoro qui
recensito.
Le modificazioni post-traduzionali possono avere un profondo impatto sulle
proprietà biologiche e biofisiche delle proteine che vanno incontro ad
alterazione conformazionale ed aggregazione, ma il loro rilievo e la
quantificazione in campioni clinici, così come la comprensione dei meccanismi
sottostanti le proprietà patologiche rimane una sfida per lo sviluppo della
diagnosi e della terapia. I ricercatori, come si è già accennato più sopra,
hanno impiegato una piattaforma di immunoassay ultrasensibile per sviluppare e validare un
saggio quantitativo finalizzato al rilievo di una modificazione post-traduzionale (la fosforilazione in corrispondenza del
residuo T3) dell’hungtintina, proteina associata
all’espansione di triplette ripetute, e caratterizzare la sua presenza in una
varietà di campioni preclinici e clinici.
Cristina Cariulo
e colleghi hanno rilevato che la fosforilazione di T3 è notevolmente ridotta,
tanto nei campioni provenienti da modelli sperimentali della malattia di
Huntington quanto in quelli provenienti dai pazienti. Allora, hanno trovato e
fornito evidenze che la fosforilazione di T3 modifica la conformazione
dell’esone 1 dell’hungtintina e le sue proprietà di
aggregazione.
Quanto emerso da questo studio
ha importanti implicazioni per lo studio della patogenesi del danno e può
suggerire nuove possibilità terapeutiche, che si spera possano incidere in modo
decisivo sui processi che causano neurodegenerazione cerebrale con una
progressione attualmente inarrestabile.
Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E
NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
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[1] Note e Notizie 22-10-11 Un marker per la malattia di Huntington.
[2] Note e Notizie 04-06-11 Come nella malattia di Huntington si altera la codifica della memoria procedurale.
[3] Ripreso da Note e Notizie 14-01-12 Nella malattia di Huntington ruolo causale per poliQ-htt non aggregata. La proteina mutata, oltre a tendere alla formazione di aggregati proteolisi-resistenti, sembra accrescere l’espressione di fattori pro-apoptotici, quali la caspasi-1 e la caspasi-3 attivata. L’huntingtina mutata può inficiare la funzione dei proteasomi e portare a de-regolazione trascrizionale, con cambiamenti nell’attivazione di proteine associate, quali l’HAP1 e le HIP, che a loro volta possono alterare le vie di trasporto cellulare, l’omeostasi del Ca2+ ed altri processi.
[4] Cfr. Note e Notizie 30-06-12 Malattia di Huntington guarita sperimentalmente.